Confusione muscolare e “cambio scheda”, un’analisi dati alla mano

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Ogni quanto tempo bisogna “cambiare scheda”? Bisogna davvero inserire 15 varianti dello stesso esercizio per allenarsi al meglio? Quanto è utile la “confusione muscolare” ai fini di un allenamento ottimale?
In questo articolo provo a chiarire alcuni argomento correlati alla così chiamata “confusione muscolare”, una delle tante idee che, nel bene e nel male, si è fatta prepotentemente strada nell’immaginario collettivo di moltissimi appassionati di bodybuilding grazie ad illustri portavoce, come Arnold Schwarzenegger in Pumping Iron (brutalmente tradotto in Uomo d’acciaio nella versione italiana) o Tony Horton nella creazione del suo programma di allenamento P90x.
Arnold vedeva la “confusione muscolare” come un metodo per evitare che il suo corpo si abituasse agli stimoli derivati dall’esecuzione degli esercizi impedendo ulteriori adattamenti con l’incremento della massa muscolare.
Agendo sui muscoli in maniera diversa, cambiando costantemente la scelta degli esercizi, voleva così assicurarsi un continuo adattamento al tipo di lavoro svolto.

Sento già le vocine. “Se per lui ha funzionato…”

Prima di tutto prendiamo in considerazione il fatto che Arnold stesso manteneva uno schema di allenamento di base costante, il modo in cui gli esercizi venivano cambiati era studiato in maniera tale da offrire uno stimolo quanto più simile possibile al precedente pur cambiandone la presentazione, secondariamente è bene tenere a mente quanto Arnold fosse consapevole del fatto che per la maggior parte dei body builder un approccio all’allenamento che contemplasse pochi e fondamentali esercizi fosse il migliore.

Di recente uno studio condotto da Baz-Valle ed altri (tra cui Brad Schoenfeld) ha analizzato i risultati ottenuti da una comparazione tra una selezione di esercizi fissa ed un simile programma con una frequente variazione degli esercizi proposti.
Il Gruppo che si allenava con il metodo “confusione muscolare” disponeva di un’app che sceglieva in maniera casuale l’esercizio da svolgere seguendo le direttive generali del programma.
Entrambi i gruppi hanno totalizzato lo stesso numero di serie e ripetizioni per gruppo muscolare nel range 6-12.
Ecco uno schema approssimativo dei risultati
Se guardiamo ai cambiamenti in entrambi i gruppi (evidenziati), notiamo che il gruppo con gli esercizi fissi ha ottenuto migliori risultati (350% rectusfemoris a 50% maggiore per altri due capi del quadricipite) sia in termini di ipertrofia sia in termini di perdita di grasso corporeo.
In base ai dati sembra anche che ci sia stato un, sensibile, sebbene appena rilevante, incremento nella forza.

Quindi? Come dovremmo comportarci?
Per quanto uno studio possa essere accurate è sempre un errore considerare i suoi risultati in maniera categorica.
Per diversi atleti quella del cambio di routine è quasi una necessità imposta dal desiderio di provare qualcosa di nuovo, nelle due righe finali della tabella potete infatti vedere come abbiano misurato anche i parametri relativi alla motivazione all’allenamento, tuttavia anche questo può essere visto in un’altra luce:
in questo studio al gruppo che si è allenato con lo schema fisso è stato imposto di non variare il peso con cui eseguivano i vari esercizi, chiaramente questo ha tolto loro gran parte dello stimolo derivato dalla soddisfazione di aver raggiunto e oltrepassato un traguardo, d’altro canto il passare, senza soluzione di continuità, da un esercizio all’altro ad ogni allenamento rende praticamente impossibile tener traccia di progressi, miglioramenti e tutto quanto potrebbe, e dovrebbe, essere tracciato per comprendere come il nostro corpo sta reagendo agli stimoli.

Insomma, I muscoli non possono essere confusi, la mente sì.

Studio:
https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0226989

Federico Licchetta

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